La disciplina del danno all’ambiente trova la sua collocazione nella Parte Sesta del Testo Unico Ambientale e, in particolare, dall’art. 299 al 314.
Tale normativa, come è facile immaginare, è di matrice comunitaria, essendo stata dettata in attuazione della direttiva 2004/35/CE, sulla prevenzione e riparazione del danno ambientale, nonché della relativa legge delega n. 308 del 2004, sul riordino, il coordinamento e l’integrazione della materia ambientale.
Alla base degli atti legislativi citati vi è la presa di coscienza da parte del legislatore, nazionale e comunitario, della non sufficienza delle norme dettate in tema di responsabilità civile ai fini della tutela ambientale. Tali misure, infatti, perseguono la finalità di una tutela riparatoria ex post, mentre la materia ambientale esige strumenti più incisivi, che consentano di prevenire il verificarsi dell’evento dannoso, sulla base del generale criterio del «chi inquina paga».
A tal proposito, meglio chiarire subito che il richiamato principio non va inteso tradizionalmente, ponendosi su un piano differente rispetto a quello della responsabilità aquiliana, così come prevista dall’art. 2043 del codice civile.
La nozione di danno all’ambiente e della sua risarcibilità, tuttavia, presuppone l’esistenza di un bene giuridico ambiente oggetto della relativa tutela.
A questo proposito, ricordiamo che la nostra Carta Costituzionale non attribuiva autonoma rilevanza all’ambiente, che assumeva sempre più una propria collocazione ma solo in riferimento a valori ad esso connessi (la salute, la proprietà, l’urbanistica ecc.).[1]
Ciò, per lungo tempo, ha fatto prevalere in dottrina la tesi di coloro i quali, escludendo che i beni ambientali potessero essere ricondotti ad una materia unitaria, ritenevano che la tutela dell’ambiente potesse essere riguardata solo come uno dei molteplici risultati possibili cui condurrebbe l’azione amministrativa di cura di altri interessi e beni.[2]
Prima dell’entrata in vigore della presente normativa, tuttavia, la responsabilità da danno ambientale era disciplinata dall’art. 18 della legge n.340 del 1986, la stessa che istitutiva il Ministero dell’Ambiente.
La legge n. 349 del 1986, inoltre, è rilevante non solo per l’introduzione della fattispecie del danno ambientale ma, soprattutto, perché, per la prima volta, il patrimonio storico, culturale e artistico viene distinto da quello prettamente ambientale.
La disposizione richiamata, ripercorrendo le fasi e gli elementi dell’art. 2043 del codice civile, disponeva che qualunque fatto doloso o colposo posto in essere in violazione di disposizioni di legge e di provvedimenti adottati in base alla legge, che comprometteva l’ambiente ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbligava l’attore del fatto a risarcire il predetto danno in favore dello Stato.[3]
Il danno ambientale trovava, quindi, la sua collocazione nella lesione del bene giuridico ambiente che, però, la stessa legge ometteva di definire, affidando di conseguenza alla giurisprudenza il compito intervenire al fine individuare il bene ambiente e di ricollegarvi il legittimo risarcimento in caso di sua compromissione.[4]
Nel percorso sin qui evidenziato si segnalano due sentenze, entrambe del 1987, particolarmente rilevanti ai fini della definizione del bene giuridico ambiente.
La prima, quella della Corte Costituzionale n. 210 del 1987, ha configurato l’ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività, adottando una concezione unitaria del bene ambientale, comprensiva di tutte le risorse ambientali e culturali, che comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali, l’esistenza e la preservazione di tutti i patrimoni genetici terrestri e marini,di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale e, in definitiva, la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni.
La seconda sentenza,[5] ha ritenuto che l’ambiente dovesse essere inteso come un bene giuridico in quanto riconosciuto e tutelato da norme, un bene immateriale unitario, sebbene a varie componenti ognuna delle quali può anche costituire, isolatamente o separatamente, oggetto di dure e tutela ma tutte nell’insieme sono riconducibili a unità.
L’ambiente assurge, sempre secondo il Giudice delle Leggi, a bene primario assoluto perché determina la qualità della vita.
Nella sentenza n. 641 del 1987, la Corte, inoltre, si spinge sino ad affermare che il bene ambiente è stato correttamente inserito nella fattispecie di cui all’art. 2043 c.c. e che trattasi di danno patrimoniale, sebbene sia svincolato da una concezione aritmetica e contabile, in quanto più che nella singola quantificazione si caratterizza per la lesione che il bene ha subito in sé e che si ripercuote sulla società per i costi collettivi che la riparazione richiede.
La legittimazione ad agire dello Stato e degli enti locali esula dal danno che essi abbiano potuto subire dalla lesione del bene ambientale, poiché la legge consente loro di agire anche solo per la mera tutela della collettività.
Queste due sentenze, facendo esplicito riferimento agli artt. 9 e 32 della Costituzione, forniscono una concezione di ambiente connotata in senso oggettivo, come diritto, e bene giuridico in senso soggettivo, perché diritto fondamentale della persona, e in cui “l’elemento unitario è riferito alla qualità della vita, dell’habitat naturale nel quale l’uomo vive e agisce, necessario alla collettività dei cittadini”.[6]
Oltre alla Corte Costituzionale, anche la Corte di Cassazione più volte si è espressa sul tema in esame.
In particolare, essa ha definito “l’ambiente in senso giuridico, come un insieme che, pur comprendendo vari beni e valori, quali la flora, la fauna, il suolo e l’acqua, si distingue ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore costituente”.[7]
Con la sentenza n. 439 del 1994, la Suprema Corte ha, inoltre, specificato che il danno ambientale si presenta con una triplice dimensione: personale, quale lesione del diritto di ogni singolo uomo, sociale, quale diritto all’ambiente delle formazioni sociali, all’interno delle quali, ai sensi dell’art.2 della Costituzione, si sviluppa la personalità umana, e pubblica, come lesione del diritto e dovere pubblico delle istituzioni con competenze ambientali.
Infine, si è anche affermato che il bene giuridico ambiente e la sua tutela, trovano la propria “forma genetica”, all’interno del nostro ordinamento, direttamente nella Costituzione, applicata attraverso una lettura dinamica di tutte le disposizioni che concernono “l’uomo e la collettività nel suo habitat economico, sociale ed ambientale”.
In tal modo, l’ambiente assurge a valore primario dell’ordinamento, non suscettibile di essere subordinato ad altri interessi.
[1] Sul tema si rimanda a quanto argomentato nel capitolo I del presente studio;
[2] A. Tommassetti, Il Danno Ambientale, in rivista giuridica La Responsabilità Civile, Febbraio 2007, UTET Editore, pag. 101;
[3] F. Camilletti, La tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente in Codice dell’Ambiente, Giuffrè Editore, Milano 2010, pag. 2523 e ss.;
[4] S. Maglia, Diritto Ambientale, IPSOA Editore, Milano 2009, pag. 268;
[5] Corte Costituzionale, sentenza del 30.12.1987 n. 641. La Corte è stata chiamata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei Conti, riguardo all’art. 18 della legge n.349 del 1986;
[6] F. Anile, Danno Ambientale, Edizioni Ambiente, Città di Castello (PG), 2007, pag. 25;
[7] Corte di Cassazione, III Sezione Penale, sentenza del 24 settembre 1997 n. 2092;