Sul tema delle concessioni balneari in scadenza il legislatore, che avrebbe dovuto sbrogliare la matassa, ha finora creato solo nuovi problemi. Sfornando a ripetizione provvedimenti che i giudici hanno imposto di disapplicare, perché in evidente contrasto con la normativa europea.
Dopo la Suprema Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato, in questi giorni è intervenuta anche l’Antitrust, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, su un provvedimento di rinnovo di concessioni demaniali fino al 2033, adottato dal dirigente del Comune di Piombino.
«Con la determina dirigenziale in questione», scrive l’Antitrust, «il Comune di Piombino ha disposto la proroga automatica di tutte le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative sino al 31 dicembre 2033, dando applicazione a una normativa nazionale (legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, commi nn. 682, 683 e 684) che, ponendosi in contrasto con il diritto eurounitario, in particolare con gli artt. 49 e 56 TFUE e con i principi di concorrenza ed evidenza pubblica negli affidamenti, avrebbe dovuto essere disapplicata».
Per questo, con una nota del 19 ottobre 2020, ha comunicato la propria decisione di impugnare dinanzi al Tar la predetta determina.
Un ricorso, dunque, dell’Autorità statale garante per il mercato su un provvedimento comunale che riguarda una molteplicità di concessioni.
Nel quadro appena descritto si trova a dover operare anche il Comune di Lecce, che vede incombere la scadenza delle concessioni demaniali con una legge nazionale che blocca il bando di evidenza pubblica per assegnarle in maniera trasparente e paritaria. E con una situazione di empasse per il dirigente, che, a sua volta, non può prorogare al 2033 le concessioni senza il rischio di sanzioni penali.
Di fronte a questo stallo, l’unica soluzione era evidentemente una proroga tecnica, che da un lato consentisse agli attuali concessionari di programmare la stagione estiva per un tempo non breve, ma comunque limitato (il prossimo triennio); dall’altro non avesse come scadenza il 2033, ponendosi al di fuori del contesto normativo europeo, ma avesse invece una scadenza idonea a consentire un intervento regolativo nazionale propedeutico ai bandi pubblici per l’assegnazione delle concessioni.
Perché, non dobbiamo dimenticarlo, quello che oggi viene mortificato è l’accesso dei tanti potenziali imprenditori che vorrebbero entrare in un mercato oligarchico, riservato da anni sempre agli stessi.
Quello che oggi viene mortificato, ancora, è l’interesse pubblico a garantire servizi balneari più moderni, in un contesto invariato da decenni.
Quello che oggi viene mortificato, soprattutto, è l’interesse pubblico a incassare canoni finalmente congrui, da concessioni assegnate con procedure di evidenza pubblica.
Basti pensare, al riguardo, che a Lecce il canone medio annuo delle 25 concessioni esistenti ammonta a 5.609,64 euro. E che il più alto, tra i 25, è di 23.561,46 euro.
Oggi il Comune di Lecce propone di aprire, ad istanza di parte, un procedimento di rinnovo che non si limita a garantire una proroga, ma vincola i concessionari alla cooperazione, impegnandoli – sin da subito – nel monitoraggio della costa.
Non è una soluzione che appaga il desiderio di aprire tempestivamente il mercato a tutti i portatori di interesse ma consente certamente a tutti i nuovi outsiders di partecipare alle nuove concessioni, che altrimenti resterebbero ferme. Non solo una proroga tecnica per chi già c’è ma anche l’apertura ai nuovi operatori, che intendono misurarsi, nel rispetto del paesaggio costiero e del suo monitoraggio, con una nuova opportunità di impresa, come le nuove 24 spiagge libere con servizi, i chioschi di ristoro ecc.
In sostanza, è senz’altro una soluzione che consente, nella confusione normativa, di coltivare il bene comune e l’interesse pubblico, in attesa che il legislatore intervenga in una materia che necessita di riordino, ponendo finalmente rimedio a una disorganicità che ha garantito solo a pochi l’esercizio di un diritto di tutti.