Nel giorno in cui Vendola -il primo ed unico presidente della Regione Puglia che abbia messo mano su ILVA, scoperchiando la fabbrica e facendo leggi sulla tutela ambientale, provando così seriamente a misurarsi sul corretto rapporto tra lavoro ed ambiente- viene condannato, mi chiedo quale sarebbe la pena per coloro che hanno consentito l’insediamento dell’acciaieria e del quartiere Tamburi a pochi metri dalla stessa.
Quale la pena per coloro che, invece, lasciarono correre, consegnando un fatto così rilevante alla fatalità.
Ho seguito quegli anni da cittadino interessato e da studente -preparando la mia tesi di dottorato sulle forme di governo degli enti locali in materia ambientale- e mi pare singolare che il primo presidente della regione che vara leggi così “spinte” sulla lotta all’inquinamento, che consente con i dati voluti da lui stesso, di celebrare anche il processo, sia condannato.
Attendo di leggere le motivazioni della sentenza per capire ed esprimere valutazioni compiute, ma penso che la storia politica ed umana dell’uomo meriti il rispetto che si deve, soprattutto in giorni come i nostri, in cui stiamo assistendo ad esiti rovesciati nei gradi successivi di giudizio.
Nè. tantomeno, si può ancora citare quella trascrizione di una telefonata, per la quale alcune importanti testate giornalistiche sono state condannate, attesa la erronea trasposizione che ne ha individuato, anche giudizialmente, il contenuto diffamatorio.
Non commento mai le sentenze, ma oggi, in attesa di leggere e capire, fino al terzo grado di giudizio, mi sento di esprimere la mia vicinanza ai cittadini di Taranto, che nessuna condanna ripagherà mai dalle perdite e dai danni subiti, ma anche a Nichi Vendola, perché si è professato innocente dal primo momento, definendo questo processo “una ferita infertagli”, perché la sua storia politica parla d’altro, di molto altro. e credo meriti rispetto.